Ludovico Ariosto

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Ludovico Ariosto

Ludovico Ariosto (1474 – 1533), poeta italiano.

Citazioni di Ludovico Ariosto[modifica]

  • [...] chi fa sua vendetta, oltra che offende | chi offeso l'ha, da molti si difende.[1]
  • Piccola è questa casa, ma sufficiente per me, nessuno vi ha ragioni sopra, è pulita, infine è stata fatta con i miei denari.[2]
Parva, sed apta mihi, sed nulli obnoxia, sed non | Sordida: parta meo sed tamen aere domus.

Orlando furioso[modifica]

Incipit[modifica]

Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l'ire e i giovenil furori
d'Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.

Citazioni[modifica]

  • Né che poco io vi dia da imputar sono, | che quanto io posso dar, tutto vi dono. (I, 3)
  • Ecco il giudicio uman come spesso erra! (canto I, ottava VII, verso 2)
  • Oh gran bontà de' cavalieri antiqui! (I, 22)
  • Pel bosco Ferraú molto s'avvolse,| e ritrovossi al fine onde si tolse. (canto I, ottava XXIII, versi 7-8)
  • Né tempo avendo a pensar altra scusa, | e conoscendo ben che 'l ver gli disse, | restò senza risposta a bocca chiusa (canto I, ottava 30, versi 1-2)
  • La verginella è simile alla rosa | Ch'in bel giardin su la nativa spina | Mentre sola e sicura si riposa, | Né gregge né pastor se le avvicina: | L'aura soave e l'alba rugiadosa, | L'acqua, la terra al suo favor s'inchina: | Gioveni vaghi e donne innamorate | Amano averne e seni e tempie ornate. (I, 42)
  • Che chi ne l'acqua sta fin alla gola | ben è ostinato se mercé non grida. (canto I, ottava 50, versi 3-4)
  • Forse era ver, ma non però credibile, | a chi del senso suo fosse signore; | ma parve facilmente a lui possibile, | ch'era perduto in via più grave errore. | Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibile, | e l'invisibil fa vedere Amore. | Questo creduto fu; che 'l miser suole | dar facile credenza a quel che vuole. (canto I, ottava 56)
  • Corro la fresca e matutina rosa | Che tardando stagion perder potria. (canto I, ottava 58)
  • Ingiustissimo amor, perché sì raro | corrispondenti fai nostri desiri? ... da chi disia il mio amor tu mi richiami, | e chi m'ha in odio vuoi ch'adori ed ami. (canto II, ottava I, versi 1-2 e 7-8)
  • Questo disir, ch'a tutti sta nel core, | de' fatti altrui sempre cercar novella... (canto II, ottava 36, versi 1-2)
  • Ma ne li vizi abominandi e brutti | non pur gli altri adeguò, ma passò tutti. (canto II, ottava 58, versi 7-8)
  • La bella terra che siede sul fiume, | Dove chiamò con lacrimoso plettro | Febo il figliuol ch'avea mal retto il lume. (canto III, ottava 34, versi 2-4)
  • Quantunque il simular sia le più volte | ripreso, e dia di mala mente indici, | si trova pur in molte cose e molte | aver fatti evidenti benefici, | e danni e biasmi e morti aver già tolte; | che non conversiam sempre con gli amici | in questa assai più oscura che serena | vita mortal, tutta d'invidia piena. (canto IV, ottava 1)
  • Perché si de' punir donna o biasmare, | che con uno o più d'uno abbia commesso | quel che l'uom fa con quante n'ha appetito, | e lodato ne va, non che impunito? (canto IV, ottava 66, versi 5-8)
  • Tutti gli altri animai che sono in terra, | o che vivon quïeti e stanno in pace, | o se vengono a rissa e si fan guerra, | alla femina il maschio non la face: | l'orsa con l'orso al bosco sicura erra, | la leonessa appresso il leon giace; | col lupo vive la lupa sicura, | né la iuvenca ha del torel paura. || Ch'abominevol peste, che Megera | è venuta a turbar gli umani petti? | che si sente il marito e la mogliera | sempre garrir d'ingiurïosi detti, | stracciar la faccia e far livida e nera, | bagnar di pianto i genïali letti; | e non di pianto sol, ma alcuna volta | di sangue gli ha bagnati l'ira stolta. || Parmi non sol gran mal, ma che l'uom faccia | contra natura e sia di Dio ribello, | che s'induce a percuotere la faccia | di bella donna, o romperle un capello: | ma chi le dà veneno, o chi le caccia | l'alma del corpo con laccio o coltello, | ch'uomo sia quel non crederò in eterno, | ma in vista umana un spirto de l'inferno. (V, 1-3)
  • Ben s'ode il ragionar, si vede il volto: | Ma dentro il petto mal giudicar puossi. (V, 8)
  • Oh Dio, che disse e fece, poi che sola | si ritrovò nel suo fidato letto! | percosse il seno, e si stracciò la stola, | e fece all'aureo crin danno e dispetto. (canto V, ottava LX, versi 1-4)
  • Miser chi mal oprando si confida | Ch'ognor star debbia il maleficio occulto; | Che quando ogn'altro taccia, intorno grida | L'aria e la terra istessa in ch'è sepulto: | E Dio fa spesso che 'l peccato guida | Il peccator, poi ch'alcun dì gli ha indulto, | Che sé medesmo, senza altrui richiesta, | Inavvedutamente manifesta. (VI, 1)
  • Come aviene a un disperato spesso, | che da lontan brama e disia la morte, | e l'odia poi che se la vede appresso, | tanto gli pare il passo acerbo e forte. (canto VI, ottava 5, versi 1-4)
  • Pareami aver qui tutto il ben raccolto | che fra i mortali in piú parti si smembra, | a chi piú et a chi meno e a nessun molto (canto VI, ottava 47, versi 2-4)
  • Donna sì laida, che la terra tutta | né la più vecchia avea né la più brutta. (canto VII, ottava 77, versi 7-8)
  • Ho perduto l'onor, ch'è stato peggio; | che, se ben con effetto io non peccai, | io do però materia ch'ognun dica, | ch'essendo vagabonda, io sia impudica. (canto VIII, ottava 41, versi 6-8)
  • Non comincia Fortuna mai per poco, | quando un mortal si piglia a scherno e a gioco (canto VIII, ottava L, versi 7-8)
  • Ben ch'esser donna sia in tutte le bande | danno e sciagura, quivi era pur grande. (canto VIII, ottava LVIII, versi 7-8)
  • Io credea e credo, e creder credo il vero. (IX, 23)
  • [...] la vendetta sfoga l'odio assai [...]. (IX, 45, v. 4; 1928, vol. I, p. 181)
  • L'amante, per aver quel che desia, | senza guardar che Dio tutto ode e vede, | aviluppa promesse e giuramenti, | che tutti spargon poi per l'aria i venti. (canto X, ottava 5, versi 5-8)
  • Bene è felice quel, donne mie care, | ch'essere accorto all'altrui spese impare. (canto X, ottava 6, versi 7-8)
  • Che fossi fatto in quarti, arso o impiccato, | brutto ladron, villan, superbo, ingrato. (canto X, ottava 41, versi 7-8)
  • Natura il fece, e poi roppe la stampa. (X, 84)
  • Che ben fu il più crudele e il più di quanti | mai furo al mondo ingegni empi e maligni, | ch'imaginò sì abominosi ordigni. (canto XI, ottava 27, versi 7-8)
  • E spenta ogni pietà, strage nefanda | di quel popul facean per tutti i liti: | fosse iustizia, o fosse crudeltade, | né sesso riguardavano né etade. (canto XI, ottava 52, versi 5-8)
  • Dirò insomma, ch'in lei dal capo al piede, | quant'esser può beltà, tutta si vede. (canto XI, ottava 69, versi 7-8)
  • A tutti par che quella cosa sia, | che piú ciascun per sé brama e desia (canto XII, ottava 20, versi 7-8)
  • E Moro e Sforza e Viscontei colubri, | lei [Beatrice d'Este] viva, formidabili saranno | da l'iperboree nievi ai lidi rubri, | da l'Indo ai monti ch'al tuo mar via danno: | lei morta, andran col regno degl'Insubri, | e con grave di tutta Italia danno, | in servitute; e fia stimata, senza | costei, ventura la somma prudenza. (canto XIII, ottava 63)
  • [Sulla frode] Avea piacevol viso, abito onesto, | un umil volger d'occhi, un andar grave, | un parlar sì benigno e sì modesto, | che parea Gabriel che dicesse: Ave. | Era brutta e deforme in tutto il resto: | ma nascondea queste fattezze prave | con lungo abito e largo; e sotto quello, | attosicato avea sempre il coltello. (canto XIV, ottava 87)
  • Fu il vincer sempre mai laudabil cosa | Vincasi o per fortuna o per ingegno. (XV, 1)
  • [Melfi] [...] la ricca terra ch'ai Normandi | sarà principio a farli in Puglia grandi. (canto XV, ottava 34, verso 7-8)
  • O d'ogni vizio fetida sentina, | dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa | ch'ora di questa gente, ora di quella | che già serva ti fu, sei fatta ancella? (canto XVII, ottava 76)
  • Che l'uomo il suo destin fugge di raro. (XVIII, 58)
  • Orazio sol contra Toscana tutta. (XVIII, 65)
  • [...] non è il ribaldo questo, | che si fa laude con l'altrui buone opre? | e la virtú di chi non è ben desto, | con la sua infamia e col suo obbrobrio copre? [insulto] (XVIII, 88)
  • [...] Che sarebbe pensier non troppo accorto | perder duo vivi per salvare un morto. (canto XVIII, 189)
  • Alcun non può saper da chi sia amato | Quando felice in su la ruota siede; | Però c'ha i veri e i finti amici a lato, | Che mostran tutti una medesma fede. | Se poi si cangia in tristo il lieto stato, | Volta la turba adulatrice il piede; | E quel che di cor ama, riman forte, | Et ama il suo Signor dopo la morte. (XIX, 1)
  • Se, come il viso, si mostrasse il core. (XIX, ottava 2, 1)
  • Le donne son venute in eccellenza | di ciascun'arte ove hanno posto cura. (canto XX, ottava 2)
  • Che non è soma da portar sí grave, | come aver donna, quando a noia s'have. (XX, 20)
  • Credo che t'abbia la Natura e Dio | produtto, o scelerato sesso, al mondo | per una soma, per un grave fio | de l'uom, che senza te saria giocondo. (XXVII, 119)
  • A donna non si fa maggior dispetto, | che quando o vecchia o brutta le vien detto. (XX, 120)
  • Il consiglio del mal va raro invano. (canto XXI, ottava 48, verso 6)
  • Amor, con che miracolo lo fai, | che 'n fuoco li tenghi, e nol consumi mai?" (canto XXIII, 127)
  • Chi mette il piè su l'amorosa pania, | cerchi ritrarlo, e non v'inveschi l'ale; | che non è in somma amor, se non insania, | a giudizio de' savi universale: | e se ben come Orlando ognun non smania, | suo furor mostra a qualch'altro segnale. | E quale è di pazzia segno più espresso | che, per altri voler, perder sé stesso? | Vari gli effetti son, ma la pazzia | è tutt'una però, che li fa uscire. | Gli è come una gran selva, ove la via | conviene a forza, a chi va, fallire: | chi su, chi giù, chi qua, chi là travia. | Per concludere in somma, io vi vo' dire: | a chi in amor s'invecchia, oltr'ogni pena, | si convengono i ceppi e la catena. (canto XXIV, ottave 1-2)
  • Senza il pane discerner da le giande, | dal digiuno e da l'impeto cacciato, | le mani e il dente lasciò andar di botto | in quel che trovò prima, o crudo o cotto. (canto XXIV, ottava 12)
  • L'animo è pronto, ma il potere è zoppo. (XXV, 76)
  • Di più direi; ma di men dir bisogna. (XXVI, 22)
  • Io sua non son, né d'altri son che mia: | dunque me tolga a me chi mi desia. (XXVI, 79)
  • Gli è teco cortesia l'esser villano. (XXVII, 77)
  • Non siate però tumide e fastose, | donne, per dir che l'uom sia vostro figlio; | che de le spine ancor nascon le rose, | e d'una fetida erba nasce il giglio. (XXVII, 121)
  • Mettendolo Turpino, anch'io l'ho messo. (XXVIII, 2)
  • Se piú che crini avesse occhi il marito, | non potria far che non fosse tradito. (canto XXVIII, ottava LXXII, versi 7-8)
  • Non conosce la pace e non l'estima | chi provato non ha la guerra prima. (canto XXXI, ottava II, versi 7-8)
  • Michel, più che mortale, Angel divino (XXXIII, 2, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921, p. 412)
  • Vide gran copia di panie con visco, | ch'erano, o donne, le bellezze vostre. (Canto XXXIV, ottava 81)
  • Altri in amar lo [il senno] perde, altri in onori, | altri in cercar, scorrendo il mar, richezze; | altri ne le speranze de' signori, | altri dietro alle magiche sciocchezze; | altri in gemme, altri in opre di pittori, | et altri in altro che piú d'altro aprezze. (XXXIV, 85)
  • Del re de' fiumi tra l'altiere corna | or siede umile (diceagli) e piccol borgo: | dinanzi il Po, di dietro gli soggiorna | d'alta palude un nebuloso gorgo; | che, volgendosi gli anni, la più adorna | di tutte le città d'Italia scorgo, | non pur di mura e d'ampli tetti regi, | ma di bei studi e di costumi egregi. [Ariosto descrive la sua amata città Ferrara] (canto XXXV, ottava VI)
  • [...] voglion tutti gli ordini e le leggi, | Che chi dà morte altrui, debb'esser morto. (canto XXXVI, ottava XXXIII)
  • Che s'abbia a ritrovar con numer pare | Di cavallieri armati in Lipadusa. | Una isoletta è questa, che dal mare | Medesmo che li cinge, è circonfusa. (canto XL, ottava 55)
  • Temerità per certo e pazzia vera | è la tua, e di qualunque che si pose | a consigliar mai cosa buona o ria, | ove chiamato a consigliar non sia. (canto XLI, ottava XLII)
  • [Lampedusa] Che con l'armata avendo la riviera | Di Barberia trascorsa in ogni canto, | Capitò quivi, e l'isola sì fiera, | Montuosa e inegual ritrovò tanto, | Che non è, dice, in tutto il luogo strano, | Ove un sol piè si possa metter piano: (canto XLII, ottava XX)
  • [...] Beatrice bea, vivendo, il suo consorte, | e lo lascia infelice alla sua morte; | anzi tutta l'Italia, che con lei | fia triunfante, e senza lei, captiva. (Gius. Laterza & Figli, Bari, 1928,canto XLII, ottave 91-92, pp. 246-247)
  • L'incarco de le corna, e lo più lieve | Ch'al mondo sia, se ben l'huom tanto inſama | Lo vede quasi tutta l'altra gente | E chi l'ha in capo mai non se lo sente. (XLII, ottava 100)
  • Ove femine son, son liti e risse. (canto XLIII, ottava 120, verso 8)
  • Bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa | Che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa. (XLVI, 140)
  • E levar questa donna anco ti voglio; ché sarebbe a lasciartela gran fallo.
  • E quel che non si sa non si de' dire, | e tanto men, quando altri n'ha a patire.
  • Ma 'l popolo facea, come i più fanno, | ch'ubbidiscon più a quei che più in odio hanno.
  • Natura il fece, e poi ruppe la stampa.
  • O città bene avventurosa... | ...la gloria tua salirà tanto | ch'avrai di tutta Italia il pregio e 'l vanto.
  • Or che s'aspetta? Soccorrer qui, non lacrimare accade.

Explicit[modifica]

E due e tre volte ne l'orribil fronte,
alzando, più ch'alzar si possa, il braccio,
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose, e si levò d'impaccio.
Alle squalide ripe d'Acheronte,
sciolta dal corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa,
che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.

Citazioni sull'opera[modifica]

  • Cose che in lui lodar si debbano, veggio io tante e tante, che alcuna non ce n'è che d'essere infinitamente esaltata non meriti. Et tra l'altre questa da tacere non è, ch'egli tanto leggiadramente ha saputo con le gravi cose le piacevoli mescolare; e con le travagliate le quiete; e con le affettuose quelle che nell'azione consistono; che con meraviglioso stupore dà diletto incredibile a chi il legge. La ove molti sono che o in doglianze, o in feste; o in guerra, o in pace; o in ire, o in amori con noia di ciascuno infinita sopra una sola parte di queste troppo si trattengono: e niente avveduti sono nel temperare l'una con l'altra. (Giovan Battista Pigna)
  • Ma che dirò delle Comparazioni, che tutte ad una ad una divinissime sono? Chi meglio le usate in altra lingua in Volgar verso riduce? Chi meglio formane da se stesso di nuove? Chi più a tempo di loro si serve? Chi più con esse ogni qualità altera, e in accrescere e in diminuire, e in far leggere le cose gravi, e in far alte le basse, e in recare ornamento e a queste e a quelle? È mestiero in lui solo talmente a perfezione ridotto, ch'a volere una magnifica cosa comprendere in proverbio s'è tratto: le comparazioni dell'Ariosto. (Giovan Battista Pigna)
  • Prof Citterio glielo confesso | a me l'Orlando Furioso | è sempre sembrato tutto fumo e niente Ariosto. (Pinguini Tattici Nucleari)
  • Solo menti borghesi di esemplare educazione filistea hanno potuto leggere nell'Orlando Furioso il poema dell'ordine elevato ad "armonia" universale, senza scorgere, dietro la poderosa sistemazione poetica, il corredo immenso d'inquietanti bagliori sotterranei e di dolorose percezioni della tragicità dell'esistenza umana, che quel poema ospita nel suo seno. (Alberto Asor Rosa)
  • Soverchia nel Furioso, la materia d'amore, perché soverchia nel cuore dell'Ariosto, nel quale essa agevolmente trapassava a sentimenti gentili, alla pietà che va oltre le tombe, alla rivendicazione dell'innocenza calunniata e della gratitudine brutalmente violata, al fervido culto pel santo nodo dell'amicizia. (Benedetto Croce)

Satire[modifica]

Incipit[modifica]

Io desidero intendere da voi,
Alessandro fratel, compar mio Bagno,
s'in corte è ricordanza più di noi;
se più il signor me accusa; se compagno
per me si lieva e dice la cagione
per che, partendo gli altri, io qui rimagno;
o, tutti dotti ne la adulazione
(l'arte che più tra noi si studia e cole),
l'aiutate a biasmarme oltra ragione.

Citazioni[modifica]

  • Pazzo chi al suo signor contradir vole, | se ben dicesse c'ha veduto il giorno | pieno di stelle e a mezzanotte il sole. (I, 10-12)
  • [Su Ippolito d'Este] S'io l'ho con laude ne' miei versi messo, | dice, ch'io l'ho fatto a piacere, e in ocio; | più grato fòra essergli stato appresso. (I, 106-109)
  • Più tosto che arricchir, voglio quïete. (I, 160)
  • più tosto ch'esser servo | torrò la povertade in pazïenza. (I, 245-246)
  • Non si adatta una sella o un basto solo | ad ogni dosso; ad un non par che l'abbia, | all'altro stringe e preme e gli dà duolo. (III, 34-36)
  • In casa mia mi sa meglio una rapa | ch'io cuoca, e cotta s'un stecco me inforco | e mondo, e spargo poi di acetto e sapa, | che all'altrui mensa tordo, starna o porco | selvaggio; e così sotto una vil coltre, | come di seta o d'oro, ben mi corco. (III, 43-48)
  • Degli uomini son varii li appetiti: | a chi piace la chierca, a chi la spada, | a chi la patria, a chi li strani liti. (III, 52-54)
  • Chi vuole andare a torno, a torno vada: | vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna; | a me piace abitar la mia contrada. (III, 55-57)
  • [...] la terra, | senza mai pagar l'oste, andrò cercando | con Ptolomeo, sia il mondo in pace o in guerra; || e tutto il mar, senza far voti quando | lampeggi il ciel, sicuro in su le carte | verrò, più che sui legni, volteggiando. (III, 64-66)

Incipit de La Lena[modifica]

Ecco La Lena, che vuol far spettacolo
un'altra volta di sé, né considera
che se l'altr'anno piacque, contentarsene
dovrebbe, né si por ora a pericolo
di non piacervi: che 'l parer de gli uomini
molte volte si muta, et il medesimo
che la matina fu, non è da vespero.
E s'anco ella non piacque, che piú giovane
era alora e piú fresca, men dovrebbevi
ora piacer. Ma la sciocca s'imagina
d'esser piú bella, or che s'ha fatto mettere
la coda dietro; e parle che, venendovi
con quella inanzi, abbi d'aver piú grazia
che non ebbe l'altr'anno, che lasciòvisi
veder senz'essa, in veste tonda e in abito
da questo, ch'oggi s'usa, assai dissimile.

Citazioni su Ludovico Ariosto[modifica]

  • Il Tasso piacerà sempre più alle anime romantiche, mentre l'Ariosto sarà sempre più ammirato dagli spiriti classici. (Giuseppe Prezzolini)
  • L'Ariosto significò la commedia umana quale la veggiamo rappresentarsi nel mondo, laddove Dante fece primo subbietto suo il soprammondano, e in esso figurò e simboleggiò le cose terrene. E come il gran Fiorentino nelle fogge variatissime de' tormenti e delle espiazioni dipinse i variatissimi aspetti delle indoli e delle passioni, il simile adempiva l'Ariosto sotto il velo dei portenti magici e delle strane avventure. Ma certo qual narrazione di fatti umani riuscirà più vasta, più immaginosa e più moltiforme di quella dell' Orlando furioso? Quivi sono guerre tra più nazioni, nascimenti e ruine di molti regni, conflitto sanguinoso di religione e di culto, infinita diversità e singolarità di costumi, e tutto il Ponente e il Levante offrono larga scena e strepitoso teatro a cotali imprese e catastrofi. Quivi sono dipinte la vita privata e la pubblica, le corti e le capanne, i castelli ed i romitaggi; quivi s'intrecciano gradevolmente la cronica, la novella e la storia, e ciò che il dramma à di patetico, l'epopeia di maestoso, il romanzo di fantastico. (Terenzio Mamiani)
  • Poeta grandissimo, Ariosto non fu certo un precursore della sinistra. (Geno Pampaloni)
  • Se l'Ariosto fosse stato un filosofo, o un poeta filosofo, avrebbe sciolto un inno all'Armonia, come non pochi se ne posseggono nella storia della letteratura, cantando quell'alta Idea che gli rendeva comprensibile la discorde concordia delle cose e, appagandogli l'intelletto, infondeva pace e gioia nell'animo. (Benedetto Croce)
  • «Signore e signori, c'era una volta un critico il quale, affermando con straordinario calore la superiorità della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso sull'Orlando furioso di Lodovico Ariosto, attaccò molte liti con le persone che non la pensavano come lui, e sostenne perciò uno dopo l'altro non meno di quattordici fortunati duelli; ma al quindicesimo, cadde finalmente col petto trapassato dalla lama nemica. Allora i padrini che afflittissimi lo sorreggevano e aspettavano di raccogliere le sue ultime volontà, lo udirono uscire in questa confessione suprema: "E dire che io non ho ancora letto né l'Orlando furioso né la Gerusalemme liberata!...".» (Federico De Roberto)
  • Tutti gli altri nostri poeti o moderni o antichi tanto sono inferiori all'Ariosto quanto lo è uno scrittore ad un genio. Genio faceto nelle commedie, genio critico nelle satire, genio amabile nel lirico italiano e latino; ma genio grande nell'epica. Niuno aspiri al suo sublime, se non ha la forza della sua anima. (Andrea Rubbi)

Note[modifica]

  1. Da I Cinque Canti, canto I, ottava 17, vv. 7-8.
  2. Iscrizione nella casa di Ariosto a Mirasole, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli.

Bibliografia[modifica]

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